Qualche domanda agli AD e Responsabili HR. Qualche risposta dai People Analytics.
Nello scorso mese di ottobre ho pubblicato un articolo su Harvard Business Review dal titolo “Aumentare la competitività con i People Analytics”, presentato successivamente ad un gremito convegno organizzato dal The Ruling Companies.
In Italia sono almeno 10 anni che si parla di business partnership della funzione HR con i manager di linea: questo significa “essere consulenti”: analizzare i problemi, comprendere le cause, definire soluzioni che abbiano una provata efficacia.
… E noi consulenti “di mestiere” sappiamo quanto è difficile: è proprio la sfida giornaliera della mia azienda che sostiene di fare “formazione a prova di business”. Forse, per questo, possiamo dire che è stata una dura lotta, perché è difficile misurare il valore in termini di business delle soluzioni HR.
Domande ben conosciute e molto diffuse quali “Qual è il ROI della formazione?” o “Quali tecniche di screening determinano i candidati con le migliori performance?” o “Quale sistema premiante stimolerà al meglio le prestazioni?” o, ancora “Quali sono le competenze che determinano le prestazioni” … sono imbarazzanti e sono state accolte con risposte non sempre precise.
Oggi esistono, però, nuovi strumenti e metodi per l’analisi dei dati, che consentono di definire in modo più efficace il legame tra “prassi e prestazioni”, tra “competenze e prestazioni”. Ciò non avrebbe potuto accadere in un momento migliore, dal momento che i CEO cercano valore ovunque possano trovarlo.
Con questo intervento desidero provocare qualche riflessione sull’impiego di questo fondamentale strumento in azienda.
Se – nella vostra azienda – linea ed HR non hanno ancora discusso come utilizzare i dati per generare una strategia di sviluppo delle competenze più strettamente legata ai risultati di business… è arrivato il momento di iniziare.
Perché?
- Per cominciare, l’adozione diffusa degli ERP e dei sistemi informativi dedicati alla gestione delle risorse umane hanno reso i dati sulle operazioni aziendali, sulle prestazioni e sul personale più accessibili e standardizzati.
- A partire da ciò, è possibile applicare metodi validi – con responsi chiari e statisticamente affidabili – che possono aiutare Risorse Umane e i dirigenti aziendali a utilizzare i dati per trovare collegamenti tra i comportamenti delle persone, la loro gestione e la produttività del lavoro.
- Infine, il gap tra lo sviluppo delle tecnologie e lo sviluppo delle competenze cresce di giorno in giorno ed è necessario investire con oculatezza i già risicati budget delle risorse umane.
È incoerente sostenere che “il capitale umano è la componente più importante della nostra azienda” e poi recuperare budget tagliandone gli investimenti. Queste tendenze, insieme all’imperativo categorico di “ottenere di più con meno”, hanno portato alcune aziende a scoprire nuovi modi di utilizzare l’analisi delle risorse umane per creare valore.
Non solo è indispensabile farli, perché “l’apprendimento organizzativo è l’ultima fonte di vantaggio competitivo di una azienda” (come citava Senge né “La quinta disciplina”), ma tali investimenti devono rendere, come qualsiasi altro investimento aziendale.
Queste tendenze, insieme all’imperativo categorico di “ottenere di più con meno”, hanno portato alcune aziende a scoprire nuovi modi di utilizzare l’analisi delle risorse umane per creare valore.
Già nel 2011 McKinsey citava – nell’articolo “Are we using our people data to create value?” di Gardner, McGranahan, Wolf – un caso molto interessante: la catena Bon-Ton (oltre 280 grandi magazzini negli Stati Uniti) aveva sfruttato i dati per identificare le caratteristiche che rendevano più efficace il personale del reparto cosmetici. Utilizzando test cognitivi e situazionali, il grado di iniziativa e altri tratti rilevanti quotidiani degli individui fu possibile identificare che i soggetti che cadevano nella metà superiore alla media vendevano il 10 percento in più rispetto agli altri e amavano di più il proprio lavoro. Con una serie di accorgimenti sulla formazione e sulla guida delle persone dal 2008 al 2011, la catena vide un aumento di $ 1.400 di vendite per persona e una riduzione del 25% del turn-over di questa popolazione.
Noi di Choralia, con il nostro metodo VANTIC® abbiamo verificato che la vendita di servizi ad alto valore aggiunto in Fastweb dipende da alcuni elementi chiave – rilevate durante il development center di circa 60 Business Partner – legate all’accreditamento dell’azienda, la scoperta dei bisogni e il superamento delle obiezioni. Questo ha consentito di mirare gli investimenti formativi – tradizionalmente impegnati sul fronte delle conoscenze tecniche, con un approccio per lo più ad una via – ed ottenere nel giro di due anni il raddoppio del fatturato.
In una grande società multinazionale Italiana, sempre con VANTIC®, abbiamo identificato differenze fondamentali tra i venditori di diverse linee di prodotto, individuando – con significatività statistiche elevatissime – che da un minimo di 60% al massimo di 91% dei risultati (varianza spiegata della performance determinato dalle competenze) dipendevano proprio dalle skills dei venditori, ma con “bouquet” molto differenti. Questo ha permesso non solo un orientamento migliore della formazione per linea di prodotto, ma scelte di job rotation fruttuose. Oltre a ciò è stato possibile identificare che – ad esempio – l’incremento del 10% delle competenze espresse migliorava ben del 16% i risultati di vendita.
In Liquigas abbiamo identificato il “profilo ideale” dei venditori misurando il peso specifico di competenze e comportamenti caratteristici, definendo con VANTIC ® che il delta del 22% di competenze tra il 1° quartile (best performer) e il 4° quartile è connesso con un miglioramento del 3,1% del margine di contribuzione e del 44% del tasso di acquisizione dei nuovi clienti: Anche in questo caso solo 4 competenze su 10 pesano per il 58% sul margine e per il 59% sulla prospezione.
Di fronte a queste evidenze, dove investireste il vostro risicato budget formativo? Dove si fa gradimento o dove si fa risultato? Per quali competenze dovrebbe essere necessario chiedere alla linea commitment e follow-up sul campo? Quali sono le ragioni per pretendere che la formazione non sia trattata come un costo accessorio e per di più perditempo?
Molte aziende sono già ben indirizzate – e noi stessi proponiamo VANTIC® in ogni progetto – in particolare in quei settori dove le persone sono fondamentali per la creazione di valore (in particolare il bancario / assicurativo, la vendita al dettaglio, l’automotive e – tra le funzioni sopra tutte le altre – le vendite e il customer service) oppure dove le competenze tecniche e la capacità di metterle al servizio del cliente governano la crescita (come nella tecnologia).
Comprendiamo, come giustamente sostiene il Professor Vincenzo Perrone, che l’uso della statistica in azienda merita una grande prudenza e rigore per stabilire se vera oppure no una certa tesi, ma è giunto il momento di prendere il coraggio a due mani e riconoscere che i business analytics sono una fonte di vantaggio competitivo, anche nelle risorse umane.
Noi suggeriamo poche ma utili regole per avviare un metodo di concreto People Analytics:
- Porre al centro i problemi di business, non i tradizionali processi HR, perché questi preoccupano il management. Possiamo giudicare se il lavoro è fatto bene in quanto i partecipanti hanno “gradito la sessione formativa”? A quale manager interessa veramente, oggigiorno?
- Partire con le fonti di informazioni di cui si dispone, piuttosto che creare castelli informatici o costose raccolte di informazioni, per abbassare la soglia di accesso ai responsi dei PA.
- Sfruttare dati provenienti da fonti diverse: ad esempio incrociare dati oggettivi di vendita con fonti di valutazioni diverse (autovalutazione – Eterovalutazione). Porre delle survey con un “single sourcing”, in cui le persone si auto valutano (o i manager valutano competenze e soddisfazione per le prestazioni, come accade nei performance appraisal) significa incappare in grandi errori statistici di autocorrelazione.
- Innovare e uscire dalle soluzioni tradizionali e garantite da grandi nomi della consulenza per il semplice fatto che dispongono di “fantomatici benchmark internazionali per settore”. I migliori dati e i migliori benchmark sono aziendali, purché sia garantita la significatività del campione.
I progressi della tecnologia creano opportunità concrete – sia per la linea sia per HR – per un nuovo dialogo circa il legame tra persone e prestazioni. Tale dialogo aiuta a dimostrare l’impatto del lavoro di HR – in un quadro di partnership strategica con il resto del management – e, naturalmente, la generazione di profitto di impresa.
Articolo di Claudio Zamagni