Grande sconcerto ha creato nel mondo l’ondata di populismo dalla Brexit alla elezione di Trump, dalla crescita delle destre xenofobe o della protesta complottista. Ma perché le persone votano in questa direzione? La radice del problema – almeno in Italia e in parte dell’Europa – può essere descritta in modo semplice: dal 2007, con la crisi del sistema del credito e la globalizzazione selvaggia, l’industrializzazione si è ridotta del 22% in Italia. Questo ha portato alla sparizione di forme di lavoro manifatturiero e all’impoverimento di più di un quarto degli Italiani, con competenze non più utili ed impiegabili. A monte della grande crisi, possiamo aggiungere 25 anni di assenza di una concreta politica industriale unita ad un dumping sistematico che ha messo fuori mercato la nostra mano d’opera (a favore di un sottoproletariato malpagato, non protetto e avvelenato dall’inquinamento nell’estremo oriente). Tutto questo ha determinato una profonda ingiustizia intergenerazionale, in cui i giovani, i più poveri, i meno attrezzati al cambiamento pagano il conto per tutti.
Princìpi illuminati come il progresso delle masse, l’emancipazione culturale e sociale, la costruzione dei diritti e la distribuzione del reddito su principi di merito, per la crescita di una diffusa classe media robusta e operosa … sono valori scomparsi dalla politica (i pessimisti dicono che non siano neanche mai apparsi). Permangono e si diffondono invece facili e insostenibili promesse (per l’appunto) demagogiche, scorciatoie che incolpano il diverso, il più povero del povero, in difesa di “diritti” di ordine superiore.
Chissà se questi fenomeni aiuteranno a ripensare che il benessere presente e futuro e la nostra stessa Repubblica sono fondate sul lavoro, lavoro concreto e sulle competenze che lo garantiscono. È faticoso, ma per salvare il paese dalla crisi e dal populismo bisogna tornare a costruire mestieri, beni e anche servizi di alta qualità, con persone orgogliose del proprio lavoro e impegnate nel miglioramento continuo della loro professione: diciamo costruire un senso di proprietà del lavoro e di responsabilità diffuso.
Per questo, una volta l’apprendimento era la via per il miglioramento sociale. Oggi quante facili promesse possono ingannare chi ha perso il lavoro o lo perderà domani?
Il lavoro di chi fa formazione non è politico, anzi, per vocazione Choralia, molto operativo. Eppure ci accorgiamo quotidianamente di quanti rischi corrano le persone spostando il problema fuori di sé, attribuendolo a fattori esterni e non controllabili, affidandosi a speranze vaghe offerte da diversi pifferai. Lavorando con le persone in azienda, spesso dobbiamo confrontarci con un livello di consapevolezza e di competenza troppo debole … per difendere il proprio lavoro e la propria “employability”. Ci sono almeno tre sfere di sviluppo in questo senso che ci sembrano critiche:
- l’adattabilità di carriera (career adapt-ability, secondo Savickas – 1997), è definita come un insieme di risorse psicologiche e comportameli di un individuo per affrontare i compiti attuali e gli sviluppi futuri, transizioni occupazionali e traumi lavorativi. Essa comprende una serie di elementi quali la preoccupazione per la propria carriera, il controllo del proprio destino, la curiosità nei confronti della novità e la fiducia in sé stessi. Questa capacità determina apertura al cambiamento.
- L’agilità di apprendimento (learning Agility, secondo McCall, Lombardo e Morrison – 1988) è una competenza o capacità che descrive la velocità di imparare di una persona. Nella maggior parte delle aziende, questa capacità è considerata uno dei fattori più importanti: le persone con forte “agilità di apprendimento” possono rapidamente analizzare e comprendere nuove situazioni e nuovi problemi di business, quindi non hanno paura di saltare in un problema e cercare di capire le sue varie cause e conseguenze. La learning Agility comprende dimensioni relazionali e di comprensione del contesto che possono essere sviluppate sistematicamente. Questa capacità permette di fare fronte al cambiamento.
- Il senso di responsabilità del proprio lavoro (individual and organizational accountabiity, secondo Connors – 1994) comporta nelle persone lo svolgimento delle azioni, il completamento dei compiti, la consapevolezza del proprio ruolo al fine di soddisfare o favorire gli obiettivi nel proprio contesto sociale (personale o di lavoro), ma anche di fare fronte alle conseguenze di un mancato raggiungimento degli obiettivi. Questo elemento determina il senso di proprietà del proprio lavoro e la capacità di esercitare il proprio libero arbitrio, prendendosi la responsabilità di esercitare una influenza diretta sulle cose, senza aspettare l’intervento di terzi.
La formazione, se pone l’accento sulla responsabilità individuale dell’apprendimento, come garanzia di adattamento al contesto che cambia, può fare molto per aiutare le persone a migliorare il proprio destino lavorativo.
Lorenzo de Grandi e Claudio Zamagni
Integrazione alla lettera pubblicata nel Sole 24 ore di oggi (20/12/2016), indirizzata da Claudio Zamagni e Lorenzo De Grandi al colonnista Gianfranco Fabi.
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